venerdì 16 dicembre 2011

Un vagabondo per padre

Cosa succederebbe se un bambino appena nato venisse abbandonato per la strada dalla madre e fosse raccolto da un vagabondo di passaggio, simpatico e generoso, quanto pasticcione e maldestro? Il piccolo verrebbe accudito e cresciuto nella piccola e misera abitazione del padre adottivo che, con ingegni di ogni tipo (come usare una teiera al posto del biberon o tagliare un buco nella sedia per permettere al bambino di poter fare i bisognini senza problemi) e, soprattutto, con tanto amore, farebbe diventare il suo trovatello un tenero, vivace e astuto bambino. Se poi questo bambino lo aiutasse nel suo lavoro di vetraio (rompendo i vetri delle finestre che il vagabondo sostituirebbe poi con il suo), lo accudisse e lo amasse a sua volta, sembrerebbe che tutta la storia non potrebbe concludersi in maniera migliore. Se ci fossero però persone che non vedrebbero di buon occhio il fatto che un vagabondo cresca un bambino e se anche la madre naturale del piccolo, dopo cinque anni, sentisse il bisogno di ritrovare il figlio, ecco che la situazione cambierebbe drasticamente e che i due si troverebbero ad affrontare vari problemi per restare insieme fino però a essere separati. Il vagabondo tornerebbe a casa distrutto e si accascerebbe sulle scale della sua abitazione dove vive, triste, consapevole che ormai ha perso per sempre suo "figlio", ma se alla fine venisse portato in una lussuosa casa dove, ad accoglierlo ci fossero il suo amato bambino che gli salta al collo e la giovane madre, tutto si concluderebbe nel migliore dei modi e probabilmente più di qualcuno penserebbe che non sarebbe tanto male avere un vagabondo per padre.



Quella di sopra altro non è che una breve sintesi del film Il monello, pellicola del 1921 interpretata, diretta, prodotta e musicata dal grandissimo ed eterno Charlie Chaplin. Chaplin è celebre soprattutto per il suo personaggio Charlot, un vagabondo (il suo nome in inglese è appunto The tramp: Il vagabondo) divertente, ben educato ma anche distratto, casinista e, all'occorrenza, molto astuto. Charlot è già apparso in numerosi film degli anni precedenti, come Charlot il vagabondo (1915) Charlot soldato (1918) Vita da cani (1918), cortometraggi dove la comicità e una serie di spassose gag fanno da padrone e che mettono in risalto la capacità di Chaplin di utilizzare i movimenti del corpo e le espressioni del viso per provocare divertimento e ilarità nel pubblico.
Con Il monello, suo primo lungometraggio, Chaplin però presenta un film fatto non solamente di comicità ma anche di momenti più drammatici, così che il pubblico possa sì ridere e divertirsi ma anche riflettere sulla società del tempo, criticata aspramente dall'artista, una società fatta di ingiustizie e prepotenze nei confronti dei più deboli. Questa visione della vita deriva forse dal fatto che lo stesso Chaplin abbia avuto un'infanzia non molto felice, passata insieme al fratello Sydney tra istituti e collegi, a causa della separazione dei genitori e per le misere condizioni economiche della famiglia. Anche altri avvenimenti drammatici della sua vita, come la morte del figlio Norman Spencer, avuto dalla prima moglie Mildred Harris, a pochi giorni dalla nascita, potrebbero aver ispirato la nascita di un film incentrato sul tenero rapporto tra un padre (pur se non naturale) e un bambino. E' certo che il film ha avuto una lavorazione molto travagliata, che richiese più di un anno di lavoro, soprattutto a causa della perdita del figlio e del divorzio dalla moglie, quest'ultimo avvenimento ha anche rischiato di far finire la pellicola sotto sequestro, fortuna vuole che Charlie avesse conservato una copia della pellicola potendo far conoscere al mondo una delle sue opere meglio riuscite.
Ad aver contribuito al successo del film, oltre alla regia, alla splendida recitazione di Charlie, al significato del film e all'utilizzo delle musiche, è sicuramente la figura del Monello, interpretato straordinariamente da Jackie Coogan, quel bambino che negli anni sessanta interpreterà Zio Fester nella popolare serie tv La famiglia Addams. Il piccolo Jackie, con la dolcezza tipica della sua età e con una grande capacità recitativa, ci regala l'interpretazione di un bambino che ispira simpatia e tanta tenerezza, piccolo e ancora indifeso, ma anche in grado di prendersi cura a sua volta del suo papà adottivo (sgridandolo addirittura per farlo alzare dal letto) e di difenderlo con coraggio. Un rapporto profondo e commovente quello tra Charlot e il suo Monello, come si può vedere in molte scene del film come, ad esempio, quando il piccolo collabora al lavoro del padre rompendo i vetri delle finestre altrui, o la scena in cui Charlot cerca di salvare prima il figlio, e poi se stesso, da una sicura pestata o ancora nella scena dove il vagabondo insegue sui tetti il furgone, che gli sta portando via il bambino, per poi riuscire a raggiungere il suo pupo e tenerlo stretto a se in un abbraccio commovente. E' questa una delle scene più celebri del film, scena che a mio avviso ne riassume tutto il significato: si trova la comicità (nella sequenza in cui Charlot corre sui tetti seguito da un poliziotto), mescolata ad una situazione drammatica dove ciò che più ha significato è l'amore che un padre e un figlio provano reciprocamente. Una scena che, oltre a far ridere, o meglio, sorridere, emoziona e spinge a pensare. 

Nonostante siano passati novant'anni dalla sua uscita, Il monello rimane ancora oggi uno dei migliori lavori della carriera di Charlie Chaplin, una pellicola sempre capace di divertire, intenerire e commuovere, un film quindi, come scrisse lo stesso Chaplin nei titoli di testa "con un sorriso e, forse, una lacrima"


                                                                                                                                       By Pamy



















mercoledì 23 novembre 2011

Chi si ricorda di Fred Buscaglione?

Un Fred duro, un Fred melodico, un Fred ironico.
E' ciò che, a mio parere, caratterizza rispettivamente le interpretazioni de Il dritto di Chicago, Guarda che luna e A qualcuno piace Fred, gli ultimi tre brani dello spazio dedicato a Buscaglione.


Che Fred fosse un duro (sulle scene musicali) è ormai risaputo, ma con Il dritto di Chicaco del 1960 supera sé stesso vestendo i panni di Sugar Bing, il dritto di Chicago appunto, un duro dal grilletto facile che ha come padrino Al capone ed è stato abituato fin da piccolo a bere whisky e gin. Personaggio dalla vita turbolenta, risoluto nel farsi rispettare persino dai poliziotti, capace di rendere pazza ogni donna che lo vede grazie al suo "fascino latin", può permettersi di non andare ad un pranzo ad Hollywood con Kim Novak e, addirittura di rifiutare un bacio ad Ava Gardner. 
Il dritto di Chicago è un brano con un enorme ritmo swing, movimentato ed energico che riunisce personaggi immaginari, come Peter Kan e altri reali come Al Capone e Ava Gardner, tutti però usati sempre con quell'intento parodistico che rende le canzoni di Fred dei veri capolavori tanto che, a trentanni dalla morte del cantante, Rino Gaetano ne rifece una versione in uno stile altrettanto simpatico e originale.










Secondo brano, altro successo grandissimo di Fred, Guarda che luna è sicuramente una canzone melodica e struggente, ma piena di forte sentimento e carica emotiva che trasporta e incanta l'ascoltatore, a prova del fatto che Buscaglione eccelleva anche nei generi diversi da quello ironico e parodistico. Scritta nel 1959 da Walter Malgoni e Bruno Pallesi  il brano canta la storia di una storia d'amore ormai terminata, l’introduzione riprende la melodia de La sonata n°14 di Beethoven, conosciuta, appunto, come ‘Moonlight’ o ‘Chiaro di luna’; l'armonia della musica, unita alla grande capacità interpretativa di Buscaglione ne hanno fatto una delle canzoni d'amore più belle di tutti i tempi, ancora adesso fonte di emozione per molte persone, negli anni a venire ne sono state fatte molte cover, ma nessuna forse eguaglia la versione di Fred, capace di suscitare sentimenti con il suo carisma e la sua immensa bravura di cantante.
















A qualcuno piace fred 1960 è un brano di piacevole ascolto, dove Fred ancora una volta si descrive come un duro sgorbutico ma allo stesso tempo simpatico, amante del whisky, delle macchine e delle belle donne. In questa canzone Fred inoltre si domanda come mai piaccia tanto alla gente senza saper trovare una giusta risposta, indubbiamente nella vita reale i motivi che lo rendono interessante alla persone sono stati più volte ribaditi in questi spazi dedicati a lui. Il brano si trova nella colonna sonora del film omonimo ma modificò il titolo in Noi duri quando uscì a Febbraio del 1960, con grandissimo successo, poche settimane dopo la morte di Fred, che aveva finito le riprese qualche giorno prima della sua scomparsa.
Se non fosse morto Fred avrebbe sicuramente continuato a regalarci altri capolavori e a sorprenderci con la sua arte, il suo genio se ne è andato con lui il 3 febbraio del 1960, ma a distanza di più di 50 anni, Buscaglione rimane unico e inimitabile nel suo genere e uno dei migliori cantanti che la musica italiana abbia conosciuto, da non dimenticare mai.
Buon ascolto.


 


                                                                                                                                                                By Pamy                                                     





mercoledì 26 ottobre 2011

Chi si ricorda di Fred Buscaglione?

Tris di successi in questo quarto appuntamento con le canzoni di Fred Buscaglione: Carina-Che notte-Love in Portofino.
Il primo brano, Carina, sarà sicuramente noto a molti in quanto è stata utilizzato come tema musicale per una recente pubblicità di un marchio di abbigliamento, non è una creazione del cantante ma fu interpretata in precedenza dal cantante jazz italiano Nicola Arigliano e venne ripresa da Fred nel 1959. Entrambe le versioni sono degne di attenzione, simpatiche a spigliate, quella di Arigliano si caratterizza per una musicalità più soft mentre la versione di Buscaglione fa trasparire il suo caratteristico stile da gangster. In ogni caso la canzone resta un evergreen cantata negli anni da tanti altri artisti e rimane un delizioso, semplice quanto efficace omaggio alla bellezza femminile.





Secondo brano, altro classico di Fred. In Che notte, il cantante narra una sua avventura iniziata andando a trovare la  fiamma di turno "...beh, M'aspetta quella bionda che fa il pieno al Roxy Bar,  l'amichetta tutta curve del capoccia Billy Carr..." ma, appena arrivato al luogo dell'appuntamento, scopre che la sua bionda non è l'unica ad attenderlo  "Ci vado, la vedo, è lei, ma dalla nebbia ne spuntano altri sei.",  l'appuntamento romantico si trasforma in una scazzottata tra Fred e i suoi sei avversari e, a dispetto dello svantaggio numerico, è proprio il nostro duro a batterli tutti "Che notte, Che botte quella notte! Mi ricordo di sei mascelle rotte: ho un sinistro da un quintale, ed il destro,vi dirò, solo un altro ce l' ha eguale ma l' ho messo Kappa O." Sconfitti i nemici si può ritornare al romanticismo e Fred può andarsene con la sua donna e concludere la serata in maniera diversa, e certo più piacevole, di quello che ci sarebbe potuto aspettare in un primo momento "Che baci, che baci quella notte! Sono un duro, ma facile alle cotte.". 
La canzone si presenta nel caratteristico stile di Fred, presentando la figura del perfetto duro (Don Giovanni, coraggioso, invincibile nei combattimenti, ironico e romantico), il brano, naturalmente, non manca dei caratteristici effetti sonori che ritroviamo all'inizio del pezzo sotto forma di sirene della polizia e spari di pistola.
Che notte, lanciata grazie al film I ladri con Totò, venne molto apprezzata dagli ascoltatori e ha  ispirato negli anni la nascita di un film ( Che notte del 1977)  e di una pubblicità per un insetticida, nel brano inoltre viene nominato per la prima volta il Roxy Bar, locale realmente esistente e celebre luogo di ritrovo per molti cantanti italiani (l'esempio più noto ce lo fornisce Vasco Rossi con Vita spericolata)  che con il passare degli anni è diventato un vero e proprio mito.







Nel 1959 Fred era sulla cresta dell'onda, era stato eletto cantante italiano dell'anno, continuava a pubblicare successi dopo successi ma, nonostante tutto ciò, cominciò a nascere in lui il desiderio di creare qualcosa di diverso dal genere che lo rese famoso, quel genere fatto di parodie, di canzoni sketch e iniziò ad allontanarsi dalla figura del duro con il quale gli italiani lo identificavano. Iniziò così a comporre una serie di canzoni dove la figura del duro venne sostituita da un Fred più romantico, dolce, melodico; uno di questi brani è Love in Portofino. La canzone narra di come il cantante abbia trovato l'amore a Portofino in uno stile diverso, nostalgico e delicato, vendette molte copie e fu ripresa da Johnny Dorelli che la portò ad un successo maggiore tanto che molti identificano l'autore della canzone in lui e non in Fred. Nonostante il successo, i colleghi di Buscaglione, compreso Leo Chiosso, non apprezzavano molto questo brano, così diverso da quelli con i quali Fred era diventato un personaggio famoso, la canzone in effetti lascia in un primo momento straniti e ci si potrebbe chiedere di come possa un cantante ironico, amante delle parodie e degli sketch come Fred cantare un brano dove non sono presenti gli elementi che caratterizzano i suoi lavori.
Indubbiamente un brano come Love in Portofino si discosta molto dal genere delle criminal songs di Buscaglione, ma permette anche di conoscere un lato diverso del cantante, il suo lato più delicato e poetico. 
Buon ascolto  






                                                                                                          By Pamy

venerdì 30 settembre 2011

Chi si ricorda di Fred Buscaglione

Sono Freddy dal whisky facile,
Son criticabile ma son fatto così


Le parole riportate sopra fanno parte del testo di Whisky facile, canzone del 1958 che forse più di tutte, descrive il grande amore che Fred aveva per l'alcool, difatti il suo soprannome era proprio "Il facile" ma, contrariamente a quello che molti potrebbero pensare, Fred non era un alcolizzato, beveva molto, ma non era mai stato visto ubriaco, reggeva l'alcool in maniera perfetta.
Ecco quindi che nella canzone troviamo frasi divertenti che testimoniano anche in piccola parte quello che era il vero Fred e di come amasse un bel bicchiere di whisky preferendolo addirittura all'acqua minerale che a detta sua "gli fa tanto male" e che "non può bere" e, per rendere ancor più verosimile il personaggio, non mancano una serie di singhiozzi ad inizio e fine brano.
 Whisky facile ha contribuito a far allargare la popolarità di Buscaglione, che nonostante il grandissimo successo di Che bambola, era ancora conosciuto unicamente per la sua voce, ma non per il suo volto; nel 1958 Buscaglione è ospite alla trasmissione televisiva Il musichiere di Mario Riva dove finalmente milioni di italiani possono vedere il volto, i movimenti, le espressioni di questo cantante che così coraggiosamente ha modernizzato il panorama della musica italiana. Per ricordare l'amore di Fred per l'alcool e godere della bellezza di un altro dei suoi successi, ecco Whisky facile.










Nel 1958 nelle radio inizia a dilagare un ritornello "Eri piccola, piccola, piccola così", che presto cattura l'attenzione degli ascoltatori i quali iniziano a canticchiarlo senza forse sapere che sarebbe diventato parte della la più famosa canzone del vasto repertorio di Fred. Ispirato ad una storia vera, il brano introduce, dopo la furiosa moglie tradita di "Teresa non sparare", un altro esempio di donna decisa, una femme fatale che seducendo il cantante, lo convince a sposarla e a condurre una vita piena di vizi fin quando non viene scoperta dal marito in compagnia di un "tipo svalvolato". Questa volta però non è il tradito ad vendicarsi, ma colei che tradisce che lo ucciderà a colpi da pistola. Fred si pone nella canzone come una sorta di fantasma che dall'oltretomba racconta la sua terribile storia d'amore con questa donna tanto minuta di statura quanto spietata, il brano si caratterizza per il fatto di essere in gran parte parlato, non sembrerebbe quasi una canzone, ma la narrazione di questo sfortunato rapporto che porterà fino al mitico finale con omicidio, finale realistico e coinvolgente; gli ascoltatori potevano facilmente immaginare la scena della morte del povero marito sfruttato, grazie agli spari della pistola e alla grande capacità interpretativa del cantante. Questo finale sketch è dovuto anche al desiderio di Buscaglione e di Chiosso di creare canzoni che presentassero colpi di scena originali utilizzando non solo la musica, ma anche suoni inaspettati (ad esempio lo sparo della pistola) per rendere ancor più verosimile e sorprendente la situazione, sia per quanto riguarda i brani in sé ma anche i rispettivi video, perfettamente curati, dei veri e propri sketch che, come le canzoni, si distinguevano per lo spirito divertente e innovativo.
Il brano divenne un vero e proprio cavallo di battaglia di Fred, cantata dall'Italia intera e famoso divenne anche il gesto che il cantante faceva con le dita per indicare le minute dimensioni della sua assassina, gesto che ancora oggi viene utilizzato da tante persone per indicare qualcosa le cui misure sono molto ristrette. 
Un tale successo pluridecennale, non può che ritenersi di diritto il miglior pezzo di Fred.
Buon ascolto 








                                                                                                                                         By Pamy







giovedì 25 agosto 2011

Chi si ricorda di Fred Buscaglione

Secondo appuntamento con le canzoni di Fred Buscaglione, questa volta con due canzoni.
Il primo brano è Porfirio Villarosa, uno delle primissime canzoni pubblicate da Buscaglione nel 1956.
Il pezzo narra le avventure amorose di Porfirio Villarosa, ispirato alla vera figura di Porfirio Rubirosa, noto rubacuori dell'epoca.
Leo Chiosso, storico amico e paroliere di Buscaglione, decise di trasformare Porfirio Rubirosa in Porfirio Villarosa e nella canzone si cantano le gesta amorose di questo dongiovanni che lavora come manovale alla Viscosa di Torino. 
Il brano è piacevole e simpatico, in maniera particolare, a mio parere, quando il coro intona 
Porfirio alle donne cosa fai
tutte quante tu le inguai, come mai, come mai, Porfirio

Porfirio alle dive sai piacer,qualche cosa devi aver come fai, come fai.



Per presentere il secondo brano non sono necessarie parole, non serve nemmeno intonarne il motivo, basterebbe solo un semplice fischio.
Che bambola, uno dei brani più celebri di Buscaglione è anche quello che l'ha reso famoso. 
La canzone difatti nasce nel 1956, periodo in cui in Italia regna la musica melodica di Claudio Villa e Nilla Pizzi, in questo insieme di musiche strappalacrime Buscaglione, reduce dalla guerra e fresco fondatore del gruppo degli Asternovas; porta una vera e propria ventata di novità. Con la sua canzone egli introduce in Italia il mito dell'America, un mito al quale però guarda, come Renato Carosone, in modo ironico e parodistico e si presenta al pubblico nella veste che lo ha reso celebre e che lo ha caratterizzato per gran parte delle sua carriera: la figura del duro amante dell'alcool e delle belle donne.
Pur se altamente innovativa, Che bambola non venne immediatamente compresa dalle case discografiche dell'epoca, abituate ancora alle passionali melodie della musica che regnava al tempo. Ironia della sorte, fu proprio un cantante melodico, Gino Latilla, a credere nel talento di Fred Buscaglione e ad insistere affinché la casa discografica Cedra gli facesse incidere dei dischi. Buscaglione forse sarebbe riuscito lo stesso ad imporsi nel panorama della musica italiana, data la sua indubbia bravura, ma il ruolo di Latilla è stato comunque fondamentale in quanto lo ha fatto conoscere al grande pubblico, un pubblico che per la prima volta ascoltava alla radio una canzone allegra, divertente, caratterizzata da una grande quantità di suoni, come botti, orologi a cucù e naturalmente l'immancabile fischio, che ne fanno ancora oggi, una delle canzoni più progressiste e divertenti della musica italiana.
Buon ascolto


                                                                                                                                  By Pamy

martedì 2 agosto 2011

Genio e sregolatezza di un mito

…Non voglio bere mai più
 ho solo bisogno di un amico
 non passerò dieci settimane qui
 mentre tutti pensano che
 stia in via di guarigione
 non è solo questione di orgoglio è solo per le lacrime che ho buttato…

Il 23 luglio scorso moriva la cantante Amy Winehouse la cui personalità è ben definita dal testo in alto, tratto dalla canzone che l’ha resa famosa: “Rehab” nel 2006. Una canzone bellissima subito apprezzata dal pubblico e dalla critica a dimostrazione del talento indiscusso della Winehouse, ma di cui soltanto oggi ci si rende effettivamente conto del valore. In essa la cantante vi aveva messo il cuore, pertanto la canzone non era soltanto un fattore commerciale ma anche un mezzo per dichiarare al mondo la sua sofferenza, per chiedere inconsciamente aiuto. A circa una settimana dalla sua morte, queste parole fanno un altro effetto, dalla spensieratezza con cui all’epoca schiere di ragazzi, intonavano la celebre sequenza musicale: “No – No – No”. Quei “No” erano il rifiuto di Amy Winehouse alla disintossicazione dall’alcool e dalla droga, che già allora caratterizzavano la sua travagliata vita e che la condurranno alla morte.
Cantate eccessiva e anticonformista, Amy Winehouse non era una star pop o rock, come qualcuno l’ha definita, ma era una star musicalmente più vicina ad Aretha Franklin che a Lady Gaga, la sua voce era uno straordinario incrocio di tonalità black and white, la sua musica è un magico mix di jazz, blues, soul e rock.
Amy Winehouse non era la semplice cantante di successo del momento, era una vera artista, impegnata a creare un genere musicale più ricercato, di qualità, ma soprattutto un mezzo di comunicazione per esprimere i suoi sentimenti, la sua passione e la sua intensità interpretativa, la portavano spesso a piangere durante le sue esibizioni. Una passione e un’intensità manifestate fin da piccola e probabilmente ereditate dalla nonna, ex cantante jazz, a cui era legatissima, un sogno realizzato con la pubblicazione del primo album Frank, nel 2003 e nel 2006 con il secondo album Back to black, che le regala successo, fama e la vincita di ben 5 Grammy Awards.
Fama e successo però, non le regalano la serenità e l’equilibrio giusto per affrontare le difficoltà della sua vita, anzi peggiorano la situazione. Amy è troppo debole per gestire la sua celebrità e i suoi eccessi diventano sempre più gravi al punto da oscurare in parte il suo talento. Le persone la identificavano sempre più spesso come “quella pop star che non si è presentata a ritirare i Grammy Awards perché era in clinica a disintossicarsi” - “quella rock star che canta ubriaca” - “quella cantante così magra, trasandata, svampita”.
La sua vita è diventata sempre più drammatica e difficile fino ad arrivare agli ultimi, penosi concerti. La cantante è in uno stato pietoso. Rivedere, dopo la sua morte, questi momenti angosciosi provoca un sentimento diverso dallo sgomento iniziale. Rivederli ora, si prova dispiacere per la perdita, commozione per le penose condizioni della cantante, malinconia per un talento finito e rabbia verso lo star system che mai come in questo caso, mostra la sua spietatezza nell’usare l’artista fino all’estremo.
Oggi si piange Amy Winehouse, ma ieri si criticavano i suoi eccessi senza comprendere la sua solitudine, i suoi comportamenti infantili, le sue richieste di aiuto. Nonostante la sua morte fosse annunciata, la notizia del decesso ha provocato un misto di sentimenti contrastanti: sbalordimento, dispiacere, sorpresa, stupore e sbigottimento. E tanta curiosità. Oggi si vuole conoscere tutto di Amy Winehouse, i suoi sentimenti, il suo dolore, si riascoltano le sue canzoni con animo diverso.
Amy Winehouse ha avuto poco tempo per lasciare un’eredità ricca di successi, sono soltanto due gli album pubblicati nella sua breve vita, ma tanto è bastato per entrare nel cuore della gente e diventare una leggenda. A poche ore dalla sua morte la sua figura è stata subito inserita nella cerchia degli artisti intramontabili che hanno segnato la storia della musica mondiale, amati da generazioni di giovani e che hanno in comune il talento, la trasgressione, i vizi, gli eccessi, la vita dannata e la morte precoce.
Amy Winehouse è entrata di diritto nell’Olimpo dei Miti al fianco di Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Cobain, Freddy Mercury, Elvis Presley, Michael Jackson… accompagnata dalle note di Back to black:

“…Ho camminato su una strada faticosa.
Ci siamo detti addio solo con le parole
 sono morta un centinaio di volte
 tu torni da lei
 ed io torno a
lutto, lutto, lutto, lutto, lutto, lutto, lutto


                                                                                                    By Pamy

giovedì 21 luglio 2011

Chi si ricorda di Fred Buscaglione?

Chi non conosce le canzoni Eri piccola così -  Whisky facile - Guarda che luna?
Chi non ha mai fischiettato al passaggio di una bella ragazza: fiufiuuuuu, che bambola!
Ma quanti conoscono l'autore ed interprete di queste note così familiari?
Chi si ricorda di Fred Buscaglione?
Fred Buscaglione, é stato un artista italiano dalla carriera molto breve, dal debutto nel  1955 alla fine nel 1960. Una fine tragica perchè sarà un terribile  incidente stradale a stroncare la vita dell'artista, a soli 38 anni.
Sono solo cinque anni anni ma a Buscaglioni sono bastati per mettere in luce il suo straordinario e particolare talento.
Un talento che a 51 anni dalla sua morte è ancora impareggiabile e che nessuno è stato capace di eguagliare.
Fred Buscaglione rimane ancora oggi, straordinariamente unico.
Sicuramente tutti in un angolino della nostra mente, conserviamo l'immagine di una cantante un pò pienotto, con i capelli neri e brillantinati, un ciuffo un pò ribelle, i baffetti, il vestito da gangster, e l'aria sorniona.
Però tanti giovani, se gli chiedi chi è Fred Buscaglione fanno fatica a metterlo in luce. Sarà per il cinquantennio trascorso, ma Buscaglione merita di essere ricordato e amato di più.
Proviamo allora a  riscoprirlo, conoscerlo meglio e goderci il suo talento.
Partiamo da Teresa non sparare, simpatica canzone del 1956 in cui un marito traditore cerca di giustificare alla moglie infuriata la sua scappatella amorosa, ma ahimé, le sue scuse non serviranno a molto. E' un pezzo divertente che mette in risalto la spiritosa interpretazione di Buscaglione e fa capire come certe persone possano inventarsi di tutto pur di giustificarsi. Buon ascolto.                                             



                                                                                                                            By Pamy

sabato 28 maggio 2011

Il non-spirato, Nosferatu

Una delle creature più affascinanti della storia della letteratura, del cinema e dell'immaginario collettivo, è quella del vampiro. Il vampiro, dagli albori con l'opera letteraria Dracula di Bram Stoker (che a sua volta si ispira al Lord Ruthven di John Polidori) fino al più recente Edward della saga di Twilight, è stato sempre descritto come un essere immortale, che si nutre di sangue, pericoloso ma anche elegante, sensuale, affascinante. Ma non è sempre stato così. Prima che la figura del vampiro classico si imponesse nell'immaginario collettivo, i bevitori di sangue erano descritti come mostri sanguinari, spietati,
terribili assassini con ridotte facoltà mentali, l'esempio più celebre di questa fase storica del vampiro è Nosferatu.
Nosferatu il vampiro è un film del 1922 diretto da Friedrich Wilhelm Murnau ed è ritenuto uno dei più importanti del cinema horror ed espressionista. Liberamente ispirato al romanzo di  Bram Stoker, la trama presenta una storia abbastanza fedele al libro, un giovane che si reca al castello di un oscuro conte - il vampiro - viene imprigionato e usato dal conte-vampiro per  sfruttare al meglio l'opportunità di seminare morte e terrore, ma con alcune sostanziali modifiche. Il conte-vampiro non si chiama Dracula ma Orlok o Nosferatu (dal rumeno Non Spirato, quindi il Non Morto di Van Helsing). Nomi diversi hanno anche gli altri personaggi del film rispetto al libro, il titolo è diverso, l'ambientazione è diversa (non la Transilvania, ma i Carpazi), ma è soprattutto la figura del conte Orlok ad essere diversa. Alto, terribilmente magro, calvo, con orecchie appuntite, mani munite di lunghi artigli ed incisivi (e non i canini) superiori appuntiti, Nosferatu non ha nulla del fascino ambiguo di Dracula. 
Insomma Nosferatu sembra essere proprio un personaggio estraneo alla figura del vampiro così come lo intendiamo noi, ma a dispetto della sua diversità, il suo successo è stato tale che ancora oggi, a distanza di quasi 90 anni dal film, fa ancora parlare di se'. Certamente oggi, il film non suscita più l'orrore che avrà terrorizzato il pubblico di allora, ma rimane una pietra miliare della storia del cinema e Nosferatu, sotto sotto, provoca ancora qualche piccolo brivido.
                                                                                                                                                                                                                                      By Pamy

martedì 10 maggio 2011

Aliene presenze

 Nella prima settimana di aprile di quest’anno, una notizia è apparsa su un importante quotidiano italiano: L’FBI apre gli archivi segreti relativi agli UFO.
Purtroppo o per fortuna, i segretissimi documenti si basano su una falsa notizia.
Gli avvistamenti di cui parlano, risalenti al periodo 1947/1950, non sono altro che invenzioni fantasiose di alcune persone, tramandate di voce in voce, fino ad arrivare alle orecchie della famosa organizzazione. Si tratta perciò di una bufala, ma la cosa sorprendente non è tanto la scoperta che gli avvistamenti sono falsi, quanto l’indifferenza con cui si è appreso che l’FBI avesse un archivio segreto sugli UFO. Questa notizia in altri tempi avrebbe sicuramente suscitato grande emozione, come accadde ad esempio nel 1938 quando un giovane Orson Welles leggendo, a una trasmissione radiofonica americana, un adattamento del libro “La guerra dei mondi” (che racconta dell’invasione della terra da parte di alieni feroci e assassini) suscitò il panico nella popolazione statunitense che credette vero uno scherzo ideato dell’attore. Welles, è stato uno dei più grandi attori del mondo e in questo caso ha dimostrato di possedere anche di una buona dose di furbizia, talmente bravo nella recitazione da far passare per reale quella che era solo una fantasia. La buona riuscita dello scherzo, però, ha avuto un altro buon alleato: l’angoscia che uno dei misteri più discussi da sempre suscita negli uomini, quella sull’esistenza degli extraterrestri.
Oggi evidentemente gli uomini hanno meno paura degli ufo. L’argomento affascina sempre tant’è che gli avvistamenti sono aumentati a dismisura, ma ci spaventano di meno. Forse i tanti libri, i tanti film, i documentari televisivi, hanno portato, man mano, le persone ad accettare prima l’eventualità dell’esistenza di esseri alieni e poi che queste creature potrebbero anche non essere crudeli. Forse perché la figura del marziano si è andata modificando nel corso degli anni.
L’invasione degli alieni a danno del nostro pianeta, descritta nel libro “La guerra dei mondi”, è angosciante. Gli extraterresti sono esseri crudeli che si servono di terribili macchine a tre gambe, dette Tripodi, per assaltare intere comunità, incenerire e imprigionare gli esseri umani. In sole tre settimane, s’impossessano dell’Inghilterra meridionale e sottomettendo gli umani, se ne nutrono. Tuttavia, non avendo difese immunitarie contro le malattie terrestri, gli alieni si ammaleranno e saranno sterminati, lasciando però intere città distrutte e la popolazione umana decimata.  Del libro esistono varie trasposizioni cinematografiche, di cui le più importanti sono una del 1953 (diretta da Byron Haskin) e un’altra del 2005 (diretta da Steven Spielberg e interpretata da Tom Cruise). Da questo libro prenderà vita il genere fantascientifico che molto successo ha avuto sia in ambito letterario che cinematografico. Già nel 1951, però, il film “Ultimatum alla Terra” ci presenta un alieno diverso dagli esseri sanguinari de “La guerra dei mondi”, un alieno quasi divino.
Un extraterrestre di nome  Klaatu, scende sulla Terra per avvisare gli uomini che la loro cattiveria li sta distruggendo. L’Ultimatum è questo: ravvedetevi prima che sia troppo tardi. Klaatu stesso conoscerà, a sue spese, la cattiveria degli uomini tanto da essere indeciso se aiutarli o lasciarli al loro destino. Sarà l’amore che comunque cova nell’animo umano, a farlo decidere. A fermare la distruzione.
Dagli anni  ’70 la rappresentazione dell’alieno cambia ancora, in particolare con i film di Spielberg che ci descrivono, un extraterrestre non più invasore mostruoso, ma benevolo e umano, e riescono ad aprire i film di fantascienza alla massa.  Nel 1978 infatti, Steven Spielberg vince 2 premi Oscar per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” con il quale ipotizza un primo contatto tra l'umanità ed entità extraterrestri. Nel 1982 dirige il famosissimo film “E.T. l’extra-terrestre”. Qui l’alieno è completamente diverso, un essere né crudele come ne “La guerra dei mondi” né buono ma un po’ freddo di “Ultimatum alla terra”. Un alieno che ispira tenerezza, gioca con i bambini e fa scendere qualche lacrima di commozione.
Negli anni ’80, il genere cinematografico di maggiore successo diventa quello fantascientifico.
E.T. è l’extraterreste ideale, ma non illudiamoci, questo esserino verde non ha estinto del tutto la paura, a farla riemergere ci pensano i registi Ridley Scott, con “Alien” nel 1979 e Roland Emmerich con “Independence Day” nel 1996. Gli alieni ritornano a minacciare gli uomini. Nel primo film, essi sono delle macchine programmate per uccidere, si riproducono parassitando gli altri esseri viventi, che muoiono atrocemente, al momento del parto. Una guerra che si svolge però lontano dalla terra, in astronavi orbitanti nello spazio. Nel secondo film, gli alieni scendono sulla Terra con dischi volanti enormi con l’obiettivo di totale distruzione. Non sono mancate rappresentazioni umoristiche di extraterrestri come ad es. “Men in black” del 1997 diretto da Barry Sonnenfeld, vincitore di 1 premio Oscar e “Mars Attacks” del 1996 diretto da Tim Burton.
Non solo il cinema si è interessato a questo fenomeno, ma anche la letteratura, la televisione, la musica e naturalmente la scienza. In tutti questi anni gli ufo ci hanno accompagnato fino quasi ad abituarci alla loro “presenza”. Alcune teorie affermano che gli alieni sono già tra noi e si sono integrati già da qualche tempo, altre addirittura che l’evento straordinario del 2012 sarà proprio la rivelazione degli extraterrestri agli uomini, per costruire insieme un futuro migliore.
                                                                                                                                       By Pamy

martedì 3 maggio 2011

A bordo dell'Enterprise

" Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell'astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all'esplorazione di nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima."
Se due persone si trovassero a leggere queste parole, una di queste potrebbe dire: " dovrebbe essere una frase contenuta in qualche film o romanzo di fantascienza visto che si parla di spazio, astronave, nuovi mondi...".

L'altra  risponderebbe:  " Ma no, quale film o libro. Qui non si parla di un'astronave qualsiasi ma dell'Enterprise, e quando si parla dell'Enterprise non può trattarsi che di Star Trek."
Ed avrebbe ragione.


Infatti queste parole compongono l'intro della sigla delle prime tre serie di Star Trek.
Attenzione però; parliamo della prime serie, quella definita classica o, per meglio comprenderci, quella dove figurano il capitano Kirk, il mitico signor Spock, il dottor Mccoy e eltri personaggi secondari come Sulu, Scott, Uhura.

Non parliamo di una serie televisiva di recente creazione, infatti l'universo di Star Trek fu creato da Gene Rodenberry nel lontano 1966, come direbbe il signor Spock, "per la precisione 46 anni fa signori". Un pò come succede per tutte le cose di valore, inizialmente la serie non ebbe molto successo, ma con il passare degli anni divenne una delle più popolari della storia della televisione, a cui seguiranno altre cinque serie, di ben undici film (l'ultimo del 2009) e ha dato il via ad un fandom senza precedenti.
Ma come mai una serie così "datata" ha avuto un successo tanto clamoroso? Forse perchè l'ambientazione è in un futuro molto lontano con l'intera popolazione umana che vaga per lo spazio. Viaggi avventurosi e non privi di pericoli, nuove conoscenze (a volte di amicizia, a volte bellicosi) con diverse specie extraterrestri, come ad esempio i Klingon, i Romulani, i Vulcaniani. Il successo della serie è dovuto anche ai temi affrontati per prima volta dallo schermo televisivo, uno tra tutti, il tema razziale.Per la prima volta, infatti, venivano riuniti nello stesso ambiente (la navicella spaziale Enterprise) persone di culture diverse: russi, scozzesi, extraterrestri, cinesi, uomini di colore. E per la prima volta, il pubblico televisivo assiste ad un bacio interrazziale tra il Capitano Kirk (bianco) e il tenente Uhura (nera), nel celeberrimo episodio intitolato "Umiliati per forza maggiore". Del corso del loro viaggio, ai confini dell'Universo, Kirk e company si ritrovano ad affrontare 
esperienze mirabolanti d'amore, sofferenza, amicizia, morte, divertimento, mistero. Insomma l'universo di Star Trek è un mix di continua avventura che non stanca mai, nemmeno dopo tanti anni dalla sua uscita.
Di sicuro c'è che Star Trek accende ancora le nostre fantasie sul futuro e ci fa sperare in un mondo migliore. 
Una serie  "logicamente interessante."
                                                                                                                                               By Pamy   
      

martedì 19 aprile 2011

Il treno per Hogwarts è alla sua penultima fermata

All'inizio, quando Harry Potter cominciava a diventare famoso, gli adulti che ne sentivano parlare non hanno stimato il valore reale di questa opera letteraria: erano storie di magie e maghi per bambini perciò più leggère, letture per bambini appunto. 
Hanno comprato il libro per accontentare i figli ed hanno cominciato a leggerlo con loro, la sera. Dopo qualche riga, più di qualche genitore avrà pensato - "Però! Scrive bene questa scrittrice... come si chiama.... "  - gira il libro e legge - "J.K.Rowling. E' abbastanza brava"- poi per una sorta di scetticismo e anche un vago senso di vergogna, il pensiero successivo sarà stato"- "Sì, è brava. Però è sempre un libro per bambini".
Suo  figlio si appassiona e lui continua a leggere, per il figlio, mica per se stesso. Legge, legge, e nel frattempo inevitabilmente, sorride perchè ci sono dei passi davvero simpatici "Sa fare anche un bel umorismo". 
Legge, legge, arriva al momento in cui Hagrid sfonda la porta della capanna sull'isolotto in mezzo all'oceano, per dire ad Harry che...
Il figlio ha ceduto al sonno, è piccolo, si è addormentato e chissà da quanto. Ma lui deve sapere cosa dice Hagrid ad Harry, poi deve sapere cosa sono Diagon Alley e la Gringott e i babbani e - "Quale segreto custodisce Hagrid?" Legge, legge e quasi gli sembra di essere con Harry Potter -"Ma che dici! "- di stupirsi come lui delle meraviglie di questo mondo magico e senza che se ne renda conto, la magia è compiuta: si ritrova con Harry sul binario 9 e 3/4 ad aspettare con lui il treno per Hogwarts!
E sono 14 anni che accompagnamo Harry Potter a prendere il treno per Hogwarts.  Da quel lontano 1997, abbiamo preso per mano i nostri figli e siamo saliti sul treno con Harry.
Siamo scesi con lui e siamo entrati con lui nel castello, entrandoci, abbiamo lasciato fuori ad attenderci,  i nostri pensieri, le nostre ansie. E mentre ci incamminavamo verso la sala grande ci siamo lasciati dietro anche qualche anno, siamo ridiventati un po' fanciulli sempre tenendo per mano i nostri figli-coetanei, abbiamo iniziato la nostra magica avventura.
Oggi, il treno per Hogwarts è arrivato alla penultima tappa e il 13 luglio 2011, si fermerà.
Il viaggio è stato lungo, emozionante, pieno di sorprese mai banali, ricco di fantasia, denso di valori come l'amicizia, l'amore, l'integrità morale e di temi sociali come le discriminazioni razziali, il peso del potere, allegro, serio, triste, filosofico (qualche lezione Silente l'ha data anche a noi), complice, magico, intelligente e mai scontato. E' stato proprio un bel viaggio!
 EnneEffe

venerdì 15 aprile 2011

Riflettori su: Dylan Dog 2 - Il fumetto -

Un paio di giorni fa ho parlato del Dylan Dog cinematografico, mi sembra inevitabile dedicare qualche riga anche al Dylan Dog cartaceo, visto che il personaggio - creato da Tiziano Sclavi nel 1986 - è italianissimo e vanta importanti "fratelli" maggiori quali Zagor (creato da Sergio Bonelli) e il veterano Tex (creato da Gian Luigi Bonelli) ed è uno dei fumetti più letti in Italia!
Ma cosa ci affascina tanto di questo fumetto, come fa Dylan a conquistare, oltre ad innumerevoli donne nei suoi albo, anche tanti e tanti curiosi lettori?
Sarà per l'aspetto fisico, ispirato all'attore Rupert Everett? Difatti Dylan è un gran bel ragazzo, alto, capelli neri, occhi azzurri, e del suo fascino ne è ben consapevole dato che non perde occasione per sedurre qualche bella donzella. Anche se Dylan non fuma, è astemio ed è vegetariano, cos' altro lo rende diverso dagli altri ragazzi? Il suo caratteristico abbigliamento? Il suo amore per il modellismo (più precisamente un galeone che, per un motivo e per un altro non riesce mai a concludere)? Il suo strano ed eccentrico assistente Groucho (ispirato all'attore cinematografico Groucho Marx)? Anche questo contribuisce a distinguerlo dalla massa, ma  ciò che rende speciale Dylan è il suo non fermarsi alle apparenze delle cose, il suo credere a qualcosa oltre la realtà quotidiana, difatti il suo non è un lavoro qualsiasi, bensì è un investigatore dell'incubo!
Non che egli prenda per oro colato ogni cosa che i suoi clienti gli dicono, ma quando le ipotesi reali non reggono, Dylan non si tira indietro come fanno gli altri, ma va avanti, esplora, indaga grazie al suo "quinto senso e mezzo" e spesso si scontra con l'incubo.
Dal primo ormai storico numero della serie, L'alba dei morti viventi, Dylan ci ha abituati alle più strampalate, diverse e surreali situazioni: omicidi, incubi, morti viventi, mummie, partite con la morte, orrore, sangue senza mai provocare orrore e questo, detto da me, sensibilissima riguardo questi temi, prova che è un fumetto meritevole della fama che ha.