Un film che sappia far ridere e commuovere, con la sola presenza di immagini, senza dialoghi, nel periodo in cui il cinema muto è stato ormai soppiantato dal sonoro? Un'impresa complicata, quasi folle ed inutile per alcuni. In un'epoca in cui il cinema muto è già diventato qualcosa di antiquato, c'è chi abbandona la carriera cinematografica, incapace di adattarsi ad un nuovo stile di recitazione dove ciò che conta non sono solamente (come succedeva in passato) i gesti, la mimica del corpo e le espressioni del viso; c'è chi si adegua al nuovo stile di interpretazione e chi, come Charlie Chaplin, rimane fedele al cinema vecchio stile, dove a parlare non sono i suoni, e soprattutto i dialoghi, ma le espressioni, le emozioni sprigionate da un viso, uno sguardo, un sorriso.
Charlie Chaplin riesce non solo a girare un film muto in un periodo dove opere del genere non ne faceva quasi più nessuno, ma crea un vero e proprio capolavoro, uno dei suoi film migliori, capolavoro che chiese tuttavia anni di lavoro, a cominciare dalla ricerca degli attori giusti per il ruolo di co-protagonisti (in particolar modo quello della protagonista femminile). Ci vollero in totale circa tre anni di impegno prima di veder completato la pellicola, anni di stress, stanchezza e continui litigi da parte del regista (noto per il suo perfezionismo) soprattutto con l'attrice protagonista, Virginia Cherrill: il rapporto tra i due fu infatti molto tumultuoso, tanto che il registra decise persino di licenziarla. Dopo aver scelto come sostituta Georgia Hale (già protagonista in La febbre dell'oro) richiamò però la Cherrill, consapevole che avrebbe perso ancora più tempo nel rigirare gran parte del film.
Altri problemi si ebbero per le scene dove era necessario far capire cosa stava succedendo senza l'utilizzo di dialoghi: come ad esempio la scena dell'incontro tra il vagabondo e la fioraia, ripetuta numerose volte, in quanto il regista voleva che la protagonista cieca scambiasse il vagabondo per un miliardario senza l'ausilio del sonoro (che avrebbe sicuramente facilitato il lavoro). Chaplin era assolutamente contro il sonoro e questa sua avversione la si nota in molte parti del film, come nella prima scena, rappresentante l'inaugurazione di un monumento di fronte ad una piazza piena di gente, sembra proceda tutto normalmente quando l'uomo che presenta la statua apre la bocca per parlare e... non parla, la sua non assomiglia per nulla ad una voce, ma a strani e comici suoni che provocano l'ilarità dello spettatore.
La presa in giro del sonoro si ritrova poi in gran parte del film, dove le poche volte che il suono interviene nella storia, crea solamente molta confusione, come quando il vagabondo ingoia un fischietto durante una festa e singhiozza a suon di fischi.
Oltre alla critica al sonoro, con Luci della città, Charlie Chaplin vuole raccontare la storia di povero vagabondo, innamorato di una fioraia cieca che, per aiutarla, si finge miliardario anche grazie all'appoggio di un ricco uomo che egli ha salvato dal suicidio (quest'ultimo tuttavia riconosce il vagabondo come amico solo in stato di ubriachezza, il che capita molto spesso, mentre in condizioni normali, non riuscendo a ricordare nulla di ciò che ha fatto durante la sbronza, lo caccia ripetutamente dalla sua casa dove poco prima lo aveva accolto). "Luci della città", oltre a quella verso il sonoro, contiene quindi un'altra critica: una critica al consumismo; ne è esempio proprio il milionario che solo da ubriaco riesce a capire ed aiutare gli sfortunati che gli stanno attorno; sembra quasi che le persone siano capaci di sentimenti e di sensibilità sinceri verso gli altri solo se colpiti da problemi, di carattere fisico o psicologico (ne sono esempio la cecità della fioraia o l'ubriachezza del miliardario), mentre sono ciniche e crudeli se "normali". In un simile clima l'onestà sembra quasi qualcosa di inconcepibile, difatti il vagabondo, per aiutare economicamente la fioraia, utilizza il denaro donatogli dal suo amico miliardario, mentre vivendo e lavorando rettamente, si ritrova di fronte a vari problemi. Per ultimo arriva l'arresto con l'accusa di furto di denaro al suo amico miliardario (denaro che in realtà il miliardario gli aveva concesso in un momento di non lucidità), il vagabondo ha giusto il tempo di andare dalla donna che ama, darle i soldi che le serviranno al pagamento dell'operazione per recuperare la vista e farsi condurre, rassegnato, a scontare la sua pena in galera. Il tempo passa e intanto la fioraia, grazie al denaro donatole dal suo benefattore, ha potuto pagare l'operazione per poter finalmente vedere e gestisce con successo un negozio di fiori, aspettando speranzosa di poter un giorno incontrare l'uomo che l'ha aiutata, nel frattempo il vagabondo è uscito di galera e vaga per la strada, distrutto, triste, vulnerabile agli scherzi di alcuni ragazzini, finché non si ritrova proprio di fronte il negozio di fiori.
E' qui che parte la scena più bella ed emozionante del film: la fioraia, vedendo il povero vagabondo schernito raccogliere un fiore da terra, gli va incontro offrendogli uno del suo negozio e una moneta, quando ad un tratto, toccando la mano dell'uomo che le sta di fronte, riesce a riconoscere in lui il suo benefattore, l'uomo che le ha permesso di uscire dalla condizione di cecità. Forse un po' delusa da questa scoperta (la persona che l'ha aiutata non è il miliardario che immaginava ma un vagabondo squattrinato e con gli abiti stracciati) ma sicuramente sorpresa e riconoscente, risponde all'uomo che le domanda se adesso può vedere che ora riesce a vedere, stringendogli ancor più la mano. La scena si conclude con la fioraia che tiene stretta a se la mano del vagabondo, con gli occhi velati di lacrime e lui che sorride tenendo tra le dita il fiore da lei donato.
Il finale di Luci della città basta da solo per testimoniare quanto grande fosse l'arte di Charlie Chaplin, la capacità di far emozionare la gente; in circa 4 minuti e senza altro suono se non la musica di sottofondo, Chaplin riesce a racchiudere tutte le emozioni: dal riso quando il vagabondo viene maltrattato dai ragazzini, alla felicità per l'incontro con la fioraia, fino alla commozione che accompagna l'attimo in cui lei riesce a riconoscerlo. In 4 minuti Charlie Chaplin è stato capace di far ridere, rallegrare e versare qualche lacrima, senza suoni o parole ma grazie alla sola forza delle sue immagini e alle emozioni che esse sanno sprigionare.
Charlie Chaplin riesce non solo a girare un film muto in un periodo dove opere del genere non ne faceva quasi più nessuno, ma crea un vero e proprio capolavoro, uno dei suoi film migliori, capolavoro che chiese tuttavia anni di lavoro, a cominciare dalla ricerca degli attori giusti per il ruolo di co-protagonisti (in particolar modo quello della protagonista femminile). Ci vollero in totale circa tre anni di impegno prima di veder completato la pellicola, anni di stress, stanchezza e continui litigi da parte del regista (noto per il suo perfezionismo) soprattutto con l'attrice protagonista, Virginia Cherrill: il rapporto tra i due fu infatti molto tumultuoso, tanto che il registra decise persino di licenziarla. Dopo aver scelto come sostituta Georgia Hale (già protagonista in La febbre dell'oro) richiamò però la Cherrill, consapevole che avrebbe perso ancora più tempo nel rigirare gran parte del film.
Altri problemi si ebbero per le scene dove era necessario far capire cosa stava succedendo senza l'utilizzo di dialoghi: come ad esempio la scena dell'incontro tra il vagabondo e la fioraia, ripetuta numerose volte, in quanto il regista voleva che la protagonista cieca scambiasse il vagabondo per un miliardario senza l'ausilio del sonoro (che avrebbe sicuramente facilitato il lavoro). Chaplin era assolutamente contro il sonoro e questa sua avversione la si nota in molte parti del film, come nella prima scena, rappresentante l'inaugurazione di un monumento di fronte ad una piazza piena di gente, sembra proceda tutto normalmente quando l'uomo che presenta la statua apre la bocca per parlare e... non parla, la sua non assomiglia per nulla ad una voce, ma a strani e comici suoni che provocano l'ilarità dello spettatore.
La presa in giro del sonoro si ritrova poi in gran parte del film, dove le poche volte che il suono interviene nella storia, crea solamente molta confusione, come quando il vagabondo ingoia un fischietto durante una festa e singhiozza a suon di fischi.
Oltre alla critica al sonoro, con Luci della città, Charlie Chaplin vuole raccontare la storia di povero vagabondo, innamorato di una fioraia cieca che, per aiutarla, si finge miliardario anche grazie all'appoggio di un ricco uomo che egli ha salvato dal suicidio (quest'ultimo tuttavia riconosce il vagabondo come amico solo in stato di ubriachezza, il che capita molto spesso, mentre in condizioni normali, non riuscendo a ricordare nulla di ciò che ha fatto durante la sbronza, lo caccia ripetutamente dalla sua casa dove poco prima lo aveva accolto). "Luci della città", oltre a quella verso il sonoro, contiene quindi un'altra critica: una critica al consumismo; ne è esempio proprio il milionario che solo da ubriaco riesce a capire ed aiutare gli sfortunati che gli stanno attorno; sembra quasi che le persone siano capaci di sentimenti e di sensibilità sinceri verso gli altri solo se colpiti da problemi, di carattere fisico o psicologico (ne sono esempio la cecità della fioraia o l'ubriachezza del miliardario), mentre sono ciniche e crudeli se "normali". In un simile clima l'onestà sembra quasi qualcosa di inconcepibile, difatti il vagabondo, per aiutare economicamente la fioraia, utilizza il denaro donatogli dal suo amico miliardario, mentre vivendo e lavorando rettamente, si ritrova di fronte a vari problemi. Per ultimo arriva l'arresto con l'accusa di furto di denaro al suo amico miliardario (denaro che in realtà il miliardario gli aveva concesso in un momento di non lucidità), il vagabondo ha giusto il tempo di andare dalla donna che ama, darle i soldi che le serviranno al pagamento dell'operazione per recuperare la vista e farsi condurre, rassegnato, a scontare la sua pena in galera. Il tempo passa e intanto la fioraia, grazie al denaro donatole dal suo benefattore, ha potuto pagare l'operazione per poter finalmente vedere e gestisce con successo un negozio di fiori, aspettando speranzosa di poter un giorno incontrare l'uomo che l'ha aiutata, nel frattempo il vagabondo è uscito di galera e vaga per la strada, distrutto, triste, vulnerabile agli scherzi di alcuni ragazzini, finché non si ritrova proprio di fronte il negozio di fiori.
E' qui che parte la scena più bella ed emozionante del film: la fioraia, vedendo il povero vagabondo schernito raccogliere un fiore da terra, gli va incontro offrendogli uno del suo negozio e una moneta, quando ad un tratto, toccando la mano dell'uomo che le sta di fronte, riesce a riconoscere in lui il suo benefattore, l'uomo che le ha permesso di uscire dalla condizione di cecità. Forse un po' delusa da questa scoperta (la persona che l'ha aiutata non è il miliardario che immaginava ma un vagabondo squattrinato e con gli abiti stracciati) ma sicuramente sorpresa e riconoscente, risponde all'uomo che le domanda se adesso può vedere che ora riesce a vedere, stringendogli ancor più la mano. La scena si conclude con la fioraia che tiene stretta a se la mano del vagabondo, con gli occhi velati di lacrime e lui che sorride tenendo tra le dita il fiore da lei donato.
Il finale di Luci della città basta da solo per testimoniare quanto grande fosse l'arte di Charlie Chaplin, la capacità di far emozionare la gente; in circa 4 minuti e senza altro suono se non la musica di sottofondo, Chaplin riesce a racchiudere tutte le emozioni: dal riso quando il vagabondo viene maltrattato dai ragazzini, alla felicità per l'incontro con la fioraia, fino alla commozione che accompagna l'attimo in cui lei riesce a riconoscerlo. In 4 minuti Charlie Chaplin è stato capace di far ridere, rallegrare e versare qualche lacrima, senza suoni o parole ma grazie alla sola forza delle sue immagini e alle emozioni che esse sanno sprigionare.
By Pamy
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